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La genitorialità nella disabilità



Quando nasce un figlio, nasce un genitore.

Quando nasce, un genitore deve affrontare una delicata fase ricca di emozioni contrastanti: gioia, eccitazione, paura, angoscia, tristezza e chissà quanto altro ancora.

Quando nasce, un genitore ha bisogno di vivere questo turbine emotivo, di gestire una delicata fase di vita e, nei ritagli di tempo, anche di prendersi cura del nuovo arrivato. Meraviglioso quanto agghiacciante!


E quando nasce un figlio con disabilità?

Bè, quando nasce un figlio con disabilità, la storia si complica. Come possiamo facilmente immaginare, il vortice emotivo può essere più complesso, e le richieste esterne più pressanti e più difficili da fronteggiare. Le ripercussioni psicologiche, emotive e sociali sono inevitabili.


Tenendo in considerazione il rischio di sminuire e ridurre ad una mera descrizione didattica un argomento così delicato, proviamo a passare in rassegna quali sono le reazioni che, generalmente, vengono riferite dai genitori che hanno appena ricevuto una diagnosi di questo tipo.


Molti genitori subiscono grosse esperienze di distress che li travolgono su più fronti: parliamo del funzionamento psicologico-emozionale (inteso come sentimenti ambivalenti verso il figlio), fisico (inteso come maggior tempo da dedicare alla cura del bambino) ed economico (costo dei servizi, dell'assistenza qualificata e perdita di entrate, in quanto spesso uno dei due genitori rinuncia al proprio lavoro per dedicarsi al figlio).

Le difficoltà di tipo pratico-gestionale, inoltre, sono all'ordine del giorno. L'elevato numero di visite specialistiche, la gestione della terapia farmacologica, gli interventi riabilitativi, le difficoltà di definire aspettative circa il futuro possono, in breve tempo, mettere in crisi la coppia genitoriale o il singolo genitore.


La cura e la crescita di un bambino con disabilità, ancora, impone l'acquisizione di specifiche competenze necessarie alla comprensione dei bisogni del figlio, indispensabili per evitare involontari errori educativi che potrebbero, ad esempio, mandare messaggi sbagliati ai figli, rinforzare alcuni comportamenti problema (come l'autolesionismo, importante tematica che interessa, in particolar modo, i bambini con

autismo).


Il fenomeno, inoltre, può avere un grosso impatto sul nucleo familiare: il disagio psicologico è vissuto da ogni membro della famiglia e può essere espresso in varie modalità, che possono andare ad intaccare l'equilibrio precedente. Può essere necessaria una ridefinizione dei ruoli e dell'assetto familiare tutto.


Ma proviamo a focalizzarci su quali possono essere i vissuti di ciascun membro. Solitamente, in un primo momento imperano sentimenti depressivi, cui seguono a ruota momenti di rifiuto dell'evento, di non accettazione, di disperazione. Gradualmente, qualcosa poi cambia. Si inizia a prendere consapevolezza di ciò che il medico ha comunicato, si tratta proprio della realtà, e non di un semplice falso positivo. Quando

la speranza di un grossolano errore diagnostico scema, possono iniziare a farsi strada vissuti di colpa, sentimenti di vergogna, di inadeguatezza, di frustrazione e una forte rabbia verso se stessi, verso il figlio e verso il mondo. La vita inizia a sembrare incredibilmente ingiusta e, ancora una volta, ci si sente disperati.

Questi vissuti sono assolutamente normali in circostanze così delicate, e un primo passo risulta essere proprio quello di non colpevolizzarsi per il semplice fatto di viverli. Si tratta di un inevitabile processo attraverso il quale avviene, solitamente, una delle sfide più insidiose che un genitore possa affrontare nella sua vita: elaborare la sofferenza della perdita del "figlio perfetto" che naturalmente aveva immaginato.

Prima della nascita di un figlio, infatti, non facciamo altro che fantasticare, immaginare, nutrire aspettative (spesso irrealistiche) su quanto sarà perfetto e magnifico il nostro bambino. A tutti, poi, tocca venire a patti col fatto che la realtà è ben diversa, perché c'è sempre una discrepanza tra ideale e reale.

Quando si tratta di disabilità, la discrepanza può essere schiacciante, e va elaborata col tempo e con tutto l'aiuto possibile. Solo attraverso l'elaborazione e il superamento delle reazioni emotive i genitori possono riuscire a sviluppare un atteggiamento di accettazione del figlio "imperfetto" e acquisire abilità di fronteggiamento delle difficoltà.


L'importanza della rete di sostegno


Il percorso di accettazione è sicuramente in salita, e una giusta dose di aiuti e sostegno risulta indispensabile.

Da una ricerca di Zanobini (2002), su circa un centinaio di famiglie intervistate, emerge, infatti, come il bisogno primario della famiglia, subito dopo la diagnosi, sia quello di non sentirsi sola e abbandonata. Il sostegno dovrebbe partire ed essere incentivato, in prima istanza, dalle istituzioni. Circa il 25 % dei genitori intervistati si riferisce insoddisfatto per la scarsità di informazioni e la poca chiarezza sul quadro

clinico. La Disinformazione porta inevitabilmente a stati di confusione, angoscia e a comportamenti compensatori che possono essere disfunzionali, come cercare informazioni in internet, decidere di intraprendere terapie poco accurate ed inutilmente dispendiose.

La rete sociale, dunque, intesa globalmente come istituzioni, amici, parenti, comunità, risulta il primo fondamentale fattore di resilienza. In particolare, i fattori che aiutano maggiormente risultano essere:


-cooperare, consultarsi e dialogare con amici, parenti, professionisti

-sviluppare una rete di supporto tra famiglie che gestiscono le stesse problematiche

-poter ricorrere ai servizi per diagnosi e trattamenti specifici

-poter ricorrere ai servizi per ricevere un adeguato sostegno individuale


Risulta, quindi, fondamentale aiutare i genitori a coltivare una buona rete sociale cui affidarsi, e sostenerli nel comprendere che dedicarsi alla cura di sé, ai propri interessi e alle proprie amicizie non è un atto di egoismo, ma un modo di salvaguardare la propria salute e quella del bambino.




Dott.ssa Simona Morra

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