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L’importanza della comunicazione nell’intervento in emergenza


Quando si è chiamati ad intervenire in un contesto emergenziale, soccorritori, forze dell’ordine, professioni d’aiuto devono essere consapevoli che oltre, alle capacità tecnico-professionali, viene loro chiesto di possedere ed utilizzare delle capacità di “contenimento emotivo” sia verso le vittime che verso i colleghi ma soprattutto verso se stessi. Tutto ciò con l’obiettivo di:

  • non aggravare ulteriormente la sofferenza della persona colpita

  • facilitare il lavoro proprio e dei colleghi attraverso la costruzione di un’alleanza con la persona soccorsa

Ecco quindi che la comunicazione acquista rilevanza e deve essere un elemento a cui saper porre attenzione.


Le parole hanno un peso

Curare significa anche avere la consapevolezza che la nostra comunicazione è fondamentale sotto ogni punto di vista ed ha sempre un aspetto terapeutico, che vale la pena di non trascurare. Dio ci ha dato due orecchie ma soltanto una bocca, proprio per ascoltare il doppio e parlare la metà. Quando ci troviamo in una situazione di dolore e sofferenza sembra però che nessuna parola possa trovare il giusto posto.


Nonostante la parole contribuiscano soltanto per il 7% del messaggio che vogliamo trasmettere, è proprio il linguaggio a creare percezioni (non sempre corrette) in chi ci ascolta. In una situazione emergenziale, poi, il rischio di essere fraintesi aumenta perché la persona sopravvissuta o coinvolta si trova spesso in una condizione di ipersensibilità. Dal punto di vista dei familiari, la comunicazione di un decesso o lesioni gravi in situazioni di emergenza rappresenta un’esperienza indicibilmente intensa. In molti casi si tratta di un evento che sarà ricordato a lungo, poiché le parole utilizzate dal comunicatore diventano parte integrante della memoria di perdita e ne influenzeranno la rappresentazione e l’elaborazione. La prima comunicazione coincide anche con l’inizio del lungo percorso di ristrutturazione cognitiva ed emotiva dell’elaborazione del lutto, inteso nella sua più ampia accezione, ovvero come una qualunque perdita, non necessariamente nel senso stretto di morte.

Ecco quindi due punti da tenere a memoria per non incorrere in errore

  • Rispondere alle domande con onestà, fornendo solo notizie certe, non fornendo più particolari di quanti ne vengano richiesti.

  • I commenti utili sono semplici e diretti e convalidano, normalizzano, rassicurano ed esprimono un interesse sincero. «Mi dispiace molto», «È più difficile di quanto non si pensi», «Non si preoccupi, è normale sentirsi…».

Il ruolo del silenzio

Come anticipato, la maggior parte del messaggio è costituita da quella che viene definita comunicazione paraverbale e non verbale. Nel primo caso rientrano tutte le sfumature della voce: tono, volume e ritmo, pause ed altre espressioni sonore quali lo schiarirsi la voce. La comunicazione non verbale, invece, chiama in causa tutti i segnali espressi attraverso il linguaggio del corpo (volto, sguardo, contatto fisico, orientamento nello spazio, postura e gesti). È imprescindibile quindi che non possiamo scegliere di non comunicare, perché qualunque gesto, più o meno consapevole, è comunicazione. Anche il silenzio.

Il silenzio è un modo strategico di comunicare e il suo significato varia con le situazioni, le relazioni e la cultura di riferimento. In una situazione emergenziale il silenzio può essere percepito come un macigno, intramontabile ed eterno. La persona sofferente apre così la mente a congetture personali, basate su impressioni e dettagli, che possono discostarsi di molto dalla realtà, creando false percezioni. Ma il silenzio può colpire anche il soccorritore una volta terminata l’emergenza. Nella fase di rilassamento, che va dalla fine dell’intervento al ritorno alla routine lavorativa o sociale, i contenuti psichici negativi inibiti durante la fase di azione trovano la forza di riemergere e manifestarsi.



Fare chiarezza nel caos emergenziale

Durante una situazione emergenziale regna spesso un più o meno gestibile caos. È necessario essere veloci, sicuri, quasi meccanici, ma anche umani, rispettosi ed empatici nei confronti della persona, della storia che abbiamo davanti. Come possiamo conciliare tutto ciò? Attraverso la comunicazione.

Essere consapevoli del proprio modo di comunicare e dell’impatto che essa può avere sugli altri è il primo passo per mettere ordine nel caos emergenziale. Una persona che non comprende cosa succede, cosa le viene detto, può mostrarsi spaventata e la paura, si sa, ci porta a ricercare risposte in tutti i modi e con tutti i mezzi, rischiando di diventare un ostacolo e generando frustrazione in sé e in chi soccorre. Un punto importante è quello di evitare messaggi percepibili come incongruenti. Un messaggio è incongruente quando le tre componenti (verbale, paraverbale, non verbale) sono incoerenti, cioè sono in conflitto tra loro nell’esprimerlo. Si va così verso una comunicazione efficace, che possa portare al migliore risultato possibile con le risorse disponibili al momento. Affinché la comunicazione possa essere efficace deve essere accettata, compresa e condivisa da tutti i partecipanti.

Analizzare la propria comunicazione e lavorare sugli ostacoli percepiti è il primo passo per prendersi cura di sé e degli altri, anche attraverso l’aiuto di un esperto esterno.

 

Marianna Martini

Psicologa

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